ALLACCIA LA CINTURA

La cosa più assurda di tutta la faccenda è che ho faticato un bel po' per non preoccupare nessuno, per dimostrarmi forte e serena

...e poi, mi sono ritrovata dopo quasi un mese, a non essere ancora riuscita a piangere per bene; non avevo metabolizzato il tutto, e se non avessi avuto quella lite con l'infermiera, probabilmente sarei ancora distesa a letto, cercando una scusa per potermi sfogare.

Lo sport sfoga la rabbia repressa. Ci vorrebbe una bella corsa! Certo, se qualcuno me lo sentisse dire ora, qui, riderebbe con me, e in fondo proverebbe anche un po' di pena. Ma poca.

Mentre ero distesa sulla spinale gli infermieri mi chiedevano:
"Vuoi avvisare qualcuno?"
"NO"
"nessuno?? sicura???"

"Nessuno!"

Nessuno vorrebbe ricevere una telefonata alle sei del mattino
Tanto meno se a chiamare è l'ospedale di una città distante che ti avvisa che tua figlia, dopo un incidente d'auto, è lì, che aspetta accertamenti. Non lo capivano.
E intanto piangevo.
Le infermiere parlottavano tra sè, discutendo del fatto che fosse esagerato come pianto, per due costole rotte, e al contempo mi versavano la soluzione salina sul torace, incuranti della mia abrasione da cintura di sicurezza. E piangevo ancora di più, che esagerata!

Perchè io ho pianto
Ho pianto di preoccupazione per i miei amici, perchè non li avevo visti uscire dall'auto, e non sapevo come stessero mentre le nostre ambulanze correvano in direzioni opposte. Ho pianto per il bruciore della soluzione salina. Ho pianto perchè avevo paura e ho pianto perchè io quell'incidente non lo volevo proprio! Ho pianto perchè l'anziana del letto accanto mi stremava. Ho pianto poi per il male che provavo. Ho pianto perchè mi sentivo sola durante la malattia, a casa.
Ho pianto e ho urlato dal dolore, durante il versamento, durante il drenaggio, quando pensavo di essere guarita. Ho pianto di paura, di nuovo.
E poi ho pianto per i drenaggi: due frecce grosse come tubi che conficcati nel mio torace aspiravano ancora liquido.

E poi la lite, finalmente! Una stupidissima lite per una puntura; perchè io, la puntura, non la volevo proprio. E non volevo neanche la solita predica sulle punture:
"Blablabla... Ormai sei grande...gnegnegne... devi imparare a capire, devi imparare ad accettare determinate cose"
E in quel momento mi guardavo, lì seduta su un letto d'ospedale, con ancora un tubo piantato nel costato, manco fossi Cristo.

"Devi imparare ad accettare determinate cose"


Ecco un pianto serio! Di rabbia. Rabbia per quello che era successo, rabbia perchè ho lasciato che il mio amico guidasse dopo aver bevuto, rabbia perchè non mi ero imposta, rabbia perchè ho lasciato che la ragazza si stendesse sui sedili dietro. Rabbia perchè giocavo con l'autoradio, magari distraendolo dalla guida. Rabbia perchè mi avevano fatto male la visita di controllo, rabbia perchè non sarei partita per le vacanze, e neanche Stefano, per colpa mia, perchè io volevo divertirmi sabato!
Non mi ero arrabbiata! Avevo accettato gli eventi passivamente.




Non saprei bene da dove cominciare con il racconto.

Partiamo dall'inizio e dalla fine: sto scrivendo dall'ospedale di Venezia perchè ho fatto un incidente a Firenze.
Suona un po' strano detto così

Notti brave, gioventù incosciente.

I giornali ne scrivono a milioni di queste storie, ne scrivono troppe, ne sono convinta.  Noi siamo la gioventù che è cresciuta con la letteratura cannibale e con i tiggì più splatter dei film di Rob Zombie.

"E poi, senti, proprio a me deve capitare? io non sono mica come quei cretini che si prendono le bombe in discoteca e poi guidano; io neanche l'ho mai vista una bomba!
Io vado all'ingorgosonoro, mi faccio una bella bevuta, ballo all'impazzata e poi torno a casa soddisfatta."

Doveva andare così, era l'ultima serata. Noi tre, gli ultimi tre rimasti a Firenze.

E la festa è stata una meraviglia! In ogni piazza c'era musica differente, credo fosse organizzata dai Buskers. Poi la mia coinquilina doveva passare a prendermi per andare al mare.

Mi ha tirato pacco.

Panini e pipì prima di partire, e la solita conversazione:

"Ce la fai a guidare? Guido io?"
"No No, ce la fo, non sono mica sbronzo. E poi te non guidi mai, sei pure veneziana!"

Si parte ballando con l'autoradio

"Tira giù i piedi dal cruscotto"
Primo punto di fortuna: gli ho dato retta

E' stato breve il ritorno

Dopo due curve la macchina ha sbandato paurosamente e poi è finita contro un albero, rovesciandosi.

Ricordo bene il momento in cui ho visto l'albero, non mi è passata davanti la mia vita, i film dicono cazzate! ho pensato solo:

"ah, quindi è così che succede?"

Dentro l'auto c'era un sacco di fumo, c'era puzza di plastica bruciata, il motore era acceso e io non riuscivo a respirare, in quel momento ho rivisto il mio pediatra, che quando avevo la pertosse mi insegnava a respirare durante le crisi, seguendo di nuovo i suoi consigli sono riuscita a riprendere fiato

e a piangere.

Pensavo "Non voglio aver fatto un incidente, non voglio!"
Ma tanto ormai c'era ben poco da volere.

Guido diceva cose, si agitava, si girava, stava prendendo in mano la situazione
e intanto delle braccia prendevano me dal finestrino e cercavano di trascinarmi fuori, mentre avevo ancora la cintura.
Mi stavano facendo male, quindi che fare?
Prenderli a sberle mi sembrava un'ottima idea.
E in effetti così mi hanno rimessa giù e hanno slacciato la cintura. Lì ho realizzato che il motore era acceso.

Acceso??

Mentre le braccia mi riprendevano io ero pronta ad arrampicarmi per uscire il prima possibile e quando mi hanno sollevata ho pensato "ah, quindi è questo che provano le rock star?"

"Dov'è Anto? Dov'è Anto??" Ho chiesto di Anto in continuazione, mi dicevano che stava bene, ma io non la vedevo.



"GUIDO! come stai?"
Era pallido pallido, in piedi e mi fissava tremare: "Cercatevi un altro amico, non mi vedrete mai più"
"Un'altro amico?? Fatelo sedere!!! anche lui ha fatto l'incidente! fatelo sedere!"
Nessuno mi dava retta. E lui continuava a gironzolare per il parcheggio alla ricerca di non so che cosa.
 
Scemo chi legge




Un mese prima, mentre ero in treno ho compilato la targhetta delle mie chiavi



"SCEMO CHI LEGGE
340243****"

E mentre la scrivevo me la ridevo, immaginando una serie di occasioni in cui qualcuno raccogliendole in chissà quale marciapiede avrebbe letto un'idiozia simile.

L'ipotesi che la polizia un giorno avesse potuto ritrovarle dentro l'auto con la quale ci saremo schiantati, in effetti non mi aveva neanche sfiorata!